Social Watch Rapporto 2004 "La Vera sicurezza" Vincere le paure, rispondere ai bisogni

Publication_year: 
2004
Annual report: 
Yes

Prefazione

LA VERA SICUREZZA
Prefazione

Quanto costa non osare
di Roberto Bissio

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È impossibile dare una risposta definitiva e indiscutibile a una domanda ipotetica sugli eventi contemporanei, eppure gran parte dell'attuale dibattito internazionale si concentra proprio su una domanda di questo genere: "Il mondo è migliorato, oggi che Saddam Hussein non è più al potere?". Questa domanda ne richiama inevitabilmente un'altra: "Il mondo non sarebbe migliore se le risorse e gli sforzi investiti nella guerra in Iraq fossero stati diretti altrove, ad esempio nella lotta contro la povertà?".

È difficile aggiungere qualcosa di nuovo all'enorme quantità di informazioni e commenti già pubblicati riguardo a queste domande, ma il Rapporto Social Watch 2004 ci riesce, perché illumina i problemi da un'angolazione diversa: quella delle organizzazioni di base che in tutto il mondo sono impegnate sul fronte della battaglia contro la povertà e la discriminazione. Questa prospettiva riporta in primo piano le persone comuni, delle quali la logica dominante della guerra soffoca le voci e ignora le sofferenze e le morti.

In questo Rapporto Social Watch l'analisi della situazione in Iraq è stata condotta dall'Associazione Al-Amal, l'unica ong non straniera attiva nel paese. Al-Amal fa parte da anni della coalizione internazionale Social Watch e già da molto prima della guerra ha inviato dall'Iraq i suoi articoli, critici nei confronti sia di Saddam Hussein, sia delle minacce degli Stati Uniti contro il regime iracheno. Con la stessa indipendenza e lo stesso coraggio, le organizzazioni della società civile della Colombia denunciano gli eccessi sia del governo, sia dell'opposizione armata che da decenni sconvolge il loro paese. Il Perù fornisce un drammatico esempio di come la combinazione di terrorismo e terrorismo di stato riduca i poveri e gli indigeni a vittime silenziose e ignorate di una "sporca guerra". Quella particolare "guerra al terrorismo" ha ricevuto un'ampia copertura dalla stampa locale e internazionale; come è possibile, allora, che il genocidio della popolazione indigena sia passato inosservato? Questa è la domanda che la società peruviana pone a se stessa, con il salutare proposito di evitare in futuro di ripetere gli stessi errori.

Allo stesso modo, ogni giorno in tutto il mondo migliaia di persone muoiono di morti facilmente evitabili senza che i giornali parlino di loro. Forse un giorno si chiederà, come oggi fanno i peruviani: perché nessuno ha preso decisioni opportune per prevenire queste morti? Se accadrà questo, nessun politico potrà giustificarsi dicendo che non era stato informato.

In una recente intervista alla televisione australiana ABT, il presidente della Banca mondiale James Wolfensohn ha lamentato l'enorme disparità tra gli stanziamenti dei governi per le spese militari globali e quelli per i programmi di sviluppo: "Spendiamo circa 50 miliardi di dollari per le spese per lo sviluppo e 1.000 miliardi per le spese militari, e ciò mi sembra squilibrato". Altri hanno indicato conseguenze anche peggiori: vittime civili dirette, gravi violazioni dei diritti umani, xenofobia crescente, disprezzo del diritto internazionale.

È ancora troppo presto per valutare il danno causato a quel sistema di istituzioni giuridiche internazionali, avente l'ONU per centro, che era stato costruito con cura per decenni in seguito a guerre costate milioni di vite umane. Ma è chiaro che la pubblica sfiducia nella parola dei suoi leader non aiuta a rafforzare la democrazia.

Quando i governi fanno delle promesse, gran parte dell'opinione pubblica tende ad accoglierle con scetticismo. Già cinque secoli fa Niccolò Machiavelli, il fondatore della "scienza politica", affermò che "a un principe non mancano mai ragioni legittime per venir meno alla parola data". Invece, il giornalista e premio Pulitzer Herbert Agar assegna un grandissimo valore alle promesse fatte durante i tempi duri della Grande Depressione: "La civiltà si basa su una serie di promesse; se alle promesse si viene meno troppo spesso, la civiltà muore, non importa quanto sia ricca o quanto sia avanzata a livello tecnico. La speranza e la fiducia dipendono dalle promesse; finché la speranza e la fiducia funzionano, tutto funziona".

Nell'anno 2000 i presidenti e primi ministri di quasi tutte le nazioni indipendenti del mondo hanno fatto una grande promessa: sradicare la povertà dalla faccia della terra entro una generazione.

Social Watch è stato creato, nel 1995, proprio allo scopo di ricordare ai governi l'impegno che hanno preso di assegnare la priorità, nei loro programmi nazionali e internazionali, alla parità di genere e allo sradicamento della povertà. Da allora, ogni anno diverse coalizioni di cittadini da circa cinquanta paesi di tutti i continenti inviano rapporti sui progressi o regressi nel raggiungimento degli obiettivi concordati dai governi. Questo lavoro è necessario e al tempo stesso molto difficile.

Per queste ragioni, invece di chiedere alle coalizioni nazionali Social Watch di concentrare le loro ricerche su una sola dimensione dei vari obiettivi di sviluppo concordati a livello di comunità internazionale, è stata posta la domanda: "Quali sono, nel vostro paese, i principali ostacoli alta sicurezza umana?".

Il ventaglio di risposte a questa domanda costituisce il nucleo centrale del presente Rapporto. La sicurezza certamente include la libertà dalla paura, e la gente ha paura della guerra, del terrorismo, del conflitto civile, della violenza criminale e di quella domestica. Ma queste paure non possono essere dissociate dalla paura della disoccupazione, della malattia, della povertà, dell'esclusione e della discriminazione.

In alcuni casi la gente ha paura persino delle stesse istituzioni preposte a garantire la sicurezza della nazione. In molte altre situazioni, quello stesso squilibrio nelle priorità notato da Wolfensohn su scala globale si verifica a livello locale. A parole ovunque si onorano gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM) che hanno stabilito come mete globali la riduzione della povertà e la promozione della parità di genere entro il 2015, ma i cittadini non vedono sufficienti risultati di fatto. La Banca mondiale che Wolfensohn presiede è ufficialmente impegnata a combattere la povertà e a raggiungere gli OSM, ma in realtà stanzia le sue risorse in base a un sistema di valutazione segreto che promuove politiche dagli effetti esattamente opposti.

Gli OSM non devono essere ridotti a un'opportunità, per istituzioni dello sviluppo come la Banca mondiale, di riscuotere maggiori fondi da paesi donatori riluttanti, ma rappresentano anzi il criterio efficace per valutare le politiche e i risultati. Lo scopo essenziale dell'accordarsi sulle elaborazioni campione e sugli indicatori è permettere alla popolazione di valutare e monitorare la condotta dei governi e delle istituzioni internazionali da essi controllate. Nello stesso tempo, chiedendo di mantenere le promesse fatte, la pubblica opinione promuove la volontà politica necessaria a realizzare gli obiettivi. Proprio allo scopo di aiutare i cittadini di tutto il mondo a monitorare l'operato delle loro autorità, ogni anno il Rapporto Social Watch integra le valutazioni dei singoli paesi prodotte dalle piattaforme nazionali con tabelle di comparazione internazionali. In seguito all'iniziativa della coalizione Social Watch delle Filippine di formulare un "Indice della Qualità di Vita" che possa essere utilizzato da organizzazioni di base e fornisca vedute significative delle situazioni a livello subnazionale (di regione, di provincia o di comune), abbiamo elaborato un indice analogo per il mondo intero, per integrare altri strumenti analitici come l'Indice di Sviluppo Umano.

Un'altra innovazione del Rapporto Social Watch 2004 è la classifica dei paesi in base ai loro risultati nell'ambito della parità di genere. Speriamo in questo modo di contribuire al dibattito in corso su come monitorare il progresso in conformità della Convenzione - giuridicamente vincolante - sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW).

Gli indici, le graduatorie e le valutazioni per ciascuna area di sviluppo sociale mostrano la persistenza di enormi disuguaglianze nel mondo, con un divario crescente tra poveri e ricchi, e testimoniano i considerevoli sforzi fatti da molti paesi in via di sviluppo per migliorare la situazione delle loro popolazioni. Gli impegni assunti dai paesi più ricchi non sono stati ancora raggiunti ed è chiaro che, di questo passo, non potranno esserlo entro il 2015.

Non basta classificare i risultati globali come insufficienti. Bisogna identificare responsabilità concrete a tutti i livelli. I governi che non investono adeguatamente nella sanità o nell'istruzione sono spesso costretti dal Fondo monetario internazionale a pagare abbondantemente i creditori esteri o persino a trattenere preziosa liquidità nei sotterranei delle banche come riserva per prevenire proprio quel genere di instabilità economica che è la conseguenza delle politiche raccomandate dal Fondo stesso. Infatti, la Banca mondiale sborsa denaro per aiutare i poveri solo a condizione che i governi dei paesi destinatari adottino politiche commerciali che creano disoccupazione nelle città e riducono in bancarotta i piccoli proprietari terrieri, o che i servizi essenziali che possono aiutare le persone povere siano trasformati in operazioni finalizzate al profitto. Nessuna promessa di una serie di negoziati commerciali per lo sviluppo è stata mantenuta e all'Organizzazione mondiale del commercio i paesi sviluppati bloccano ogni tentativo di riformare l'iniquo sistema commerciale attuale in modo da sostenere i paesi in via di sviluppo. In molti paesi la corruzione tra pubblici ufficiali è la scusa più frequente per non assegnare aiuti o anche per tagliare fondi, ma le imprese che versano mazzette a quegli stessi ufficiali affinché accettino affari illegali non sono mai considerate responsabili nei paesi donatori dove si trovano le loro sedi principali.

Duemila anni fa Seneca scrisse: "Non è perché le cose sono difficili che non osiamo; è perché non osiamo che le cose sono difficili".

Nessuna delle misure richieste per risolvere questi e altri problemi è tecnicamente difficile o politicamente impraticabile. La maggior parte di queste misure, se non la loro totalità, avrebbe un sostegno politico di massa dappertutto. Non osare, rimandare o evitare di agire significa costringere l'umanità a non raggiungere gli obiettivi minimi già concordati. E frustrare le speranze di popoli e nazioni in tutto il pianeta non aiuterà certamente a fare di questo mondo un luogo più sicuro per i nostri figli.

Roberto Bissio
Coordinatore di Social Watch

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